Una rete intorno al bambino con disturbi comportamentali e relazionali

Cosa fare quando un bambino manifesta delle difficoltà comportamentali e relazionali con i suoi genitori, con la scuola e con i suoi coetanei? 

Di che cosa si tratta? 

Proviamo a elencare quello che i bambini ci fanno osservare.

In alcuni casi capita che si isolino, che evitino e respingano l’altro fino a chiudersi nel silenzio, non potendo confrontarsi con gli adulti come con i loro pari. In altri mostrano di non potersi impegnare in alcuna attività poiché continuamente sviati da altro, fino a ritrovarsi costretti a praticare solo alcuni “giochi” ripetitivi. Ci sono, poi, dei bambini che necessitano di meticolosi rituali senza tollerarne il benché minimo cambiamento, vedi tra questi la ripetizione di alcune parole che non diventano mai comunicative ma fini solo a loro stesse. 

Ce ne sono anche altri che sembra non possano accettare le regole, al punto di vivere con disagio l’ingresso a scuola che finisce per rendere manifesti le difficoltà del bambino proprio sotto la forma di quei disturbi dell’apprendimento che hanno a che vedere con le aree della lettura, della scrittura e del calcolo. 

Questi sono solo alcuni dei sintomi che presentano quei bambini che si dice siano affetti dai disturbi generali dello sviluppo, dai disturbi del comportamento o ancora dai disturbi da deficit attentivo e da iperattività. 

In tutti questi casi, per noi dei Consultori di Psicoanalisi Applicata, prima di tutto è da verificare a quale logica rispondano questi fenomeni sintomatici, se si considera che lo stesso disturbo potrebbe voler dire e significare cose completamente diverse da bambino a bambino. Per uno potrebbero riferirsi alla logica di quel desiderio di riconoscimento da parte dell’Altro spesso ricercato in modo contorto e mascherato, vedi la messa alla prova della pazienza del genitore continuamente sfidato. Per un altro potrebbero seguire la logica di un evitamento dell’Altro, percepito piuttosto come angosciante e persecutorio, dunque, pericoloso. Nel primo caso è necessario un lavoro che consenta al bambino di convogliare ciò che sottende il suo sintomo in una direzione più consona alla realizzazione del suo desiderio, affinché ciò che lo scalza dal raggiungerlo lo ostacoli sempre meno.

Nel secondo caso il lavoro deve mettere al riparo il bambino dall’Altro persecutore e affiancarlo nella costruzione di una sua soluzione riparatrice che lo pacifichi, rendendogli la vita meno angosciante e caotica.

Il terapeuta o l’operatore scolastico possono e devono assumere la funzione di persone regolate, capaci di costituire per il bambino una garanzia. Essere ”regolati” significa far passare al bambino che siamo noi i primi a dover rispettare le regole ancor prima di lui. 

I nostri Centri offrono un servizio di consulenza per la famiglia e per la scuola, e di coordinamento tra le diverse istituzioni che si occupano del bambino per verificare e con loro calibrare quale tipo d’intervento faccia al suo caso.

Il Campo freudiano, e i Consultori di Psicoanalisi Applicata che di esso fanno parte, si adoperano, dunque, per una clinica dell'infanzia che sostenga il bambino nella sua singolarità, nella sua particolarità, perché solo a partire da questa condizione potremo farci partner nel suo percorso di affrancamento dal disturbo e dal disagio che lo affligge.

 

Luisa Di Masso

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Martedì, 23 Aprile 2013 06:42
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Dipendenze

di Ezio De Francesco 

un “male che piace”. É così che qualcuno, dopo molti anni di dipendenza dalle sostanze, avendo nel frattempo raccolto gli effetti di tale perseveranza, ha formulato una sua lapidaria definizione della dipendenza dalla droga. Oppure, “un orgasmo che dura un’ora e mezza”, diceva qualcun altro dell’assistere ad una corsa di cavalli con la propria scommessa in mano. Due definizioni in presa diretta con il proprio vissuto, sempre a portata di mano ma che, ad un certo punto, sono risuonate dissonanti. Qualcosa non tornava: una contraddizione in termini. 

In effetti, dal lato dell’interrogazione psicoanalitica, già Freud rilevava come l’”intossicazione”, il rapporto di dipendenza da una sostanza, avesse in sé qualcosa di particolare rispetto a tutti quei sintomi in risposta ai quali aveva inventato il dispositivo analitico. E usava espressioni come l’“armonia più perfetta”, il “matrimonio felice” per rendere conto del rapporto dell’alcoolista con la bottiglia. Tali sottolineature infatti non puntano l’attenzione sulla sofferenza soggettiva. E questo nonostante l’evidenza della devastazione in gioco nelle diverse forme della dipendenza.

Da quelle classiche, che riguardano il consumo di sostanze, a quelle che hanno come oggetto il gioco d’azzardo, oppure lo shopping compulsivo, fino alle più attuali come la dipendenza dai social-network e, più in generale da internet, sappiamo ormai che la devastazione può condurre fino alla morte, evidentemente non solo per il cedere del corpo agli eccessi. La prospettiva freudiana, dunque, permette di mettere in rilievo un punto centrale nelle condotte di dipendenza, che attraversa le sue mutevoli forme, sempre più aggiornate: una soddisfazione che oscura tutto il resto, che non permette al soggetto di guardare più in là, per prendere in conto le conseguenze del proprio atto, non ultimo quelle penali. Conseguenze sicuramente ben conosciute, ma che al tempo stesso non fungono da limite, che non portano, almeno fino a un certo momento, a mettere realmente in questione tale pratica e ad articolare una effettiva domanda di aiuto. 

Quello del soggetto dipendente, quindi, è un sapere non operativo. Spesso, allora, è l’altro a farsene carico, l’Altro della legge, del sociale, l’Altro familiare. Qui trova tutta la sua consistenza la categoria di “godimento” di Lacan - che riprende quella freudiana di pulsione di morte - e che non coincide con quella di piacere. Non è raro infatti che l’assunzione di sostanze, così come il giocare compulsivamente d’azzardo, o cedere allo shopping sfrenato o l’essere “connessi” a ciclo continuo sia dell’ordine del palese malessere anche a livello del vissuto e non solo delle conseguenze. Ma non per questo perde la sua forza attrattiva, mostrando in tal modo come tale pratica non si regoli sul registro del binomio piacere/dispiacere, sempre incerto da definire per ogni soggetto, ma su quello di un godimento devastante che si impone. 

Quale possibilità per la parola, dunque, in tutto questo? Al di là di ogni presa di posizione a priori, il punto di partenza non può che rimanere quanto la clinica stessa delle dipendenze testimonia. Vale a dire che, a un certo punto, arriva il momento in cui “non va più come prima”. L’orrore del prezzo pagato nella propria esistenza, la colpa per il dolore causato a coloro che stanno vicino, la vergogna per le menzogne… tutto questo, lì da sempre, diventa insopportabilmente vivo, attuale, bruciante, insistente. Ed è proprio qui, dove qualcosa insiste, che l’esperienza psicoanalitica chiama in causa il suo registro specifico: quello dell’inconscio, aprendo, per il soggetto, la possibilità di interrogare la condotta dipendente, rivelando la verità soggettiva che la sostiene e aprendo la strada alla sua risoluzione.

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Giovedì, 04 Aprile 2013 10:53
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Le disfunzioni della sessualità per la psicoanalisi

Si tratta di un insieme di sintomi che possono riguardare sia uomini che donne di ogni età e che mettono il soggetto di fronte ad un impossibile della loro sessualità. Qualcosa che li fa confrontare con una difficoltà nella loro vita sessuale, che può prendere la forma dell’impotenza, della frigidità o del disgusto: non è mai né nel modo giusto, né al momento giusto. 

Nell’epoca del Viagra, degli antidepressivi, delle ortopedie immaginarie e del “tutto è possibile” che illudono con facili risoluzioni, la psicoanalisi propone uno sguardo più ampio.

Secondo la psicoanalisi infatti le turbe delle funzioni sessuali sono soltanto la “punta dell’iceberg”, quella evidente, di un disagio più vasto che può coinvolgere, ad indagarlo con pazienza, l’intera esistenza di un individuo.

Occorre toccare il punto estremo di questa impossibilità, occorre rinvenirne la sua reale natura, affinché le funzioni sessuali vengano sgravate dal carico di incarnare tale impossibilità. Occorre cioè essere pervenuti all’impossibile soggettivo, che vi si nasconde dietro, per liberarsi della disfunzione sessuale. La psicoanalisi, in quanto esperienza che permette di elaborare il sintomo fino a questo traguardo estremo dell’impossibile, può offrire una chance di risoluzione di queste impasses. 

Laura Storti

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Venerdì, 01 Marzo 2013 12:27
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Il fenomeno psicosomatico

Di Francesca Carmignani

I cosiddetti fenomeni psicosomatici sono evidenti lesioni del corpo riconducibili all' influsso di fattori psichici in assenza di cause organiche accertate da un medico. Il fenomeno psicosomatico si riscontra nei soggetti più svariati, e per ciascuno di essi svolge funzioni specifiche, da determinare, cioè, caso per caso, soggetto per soggetto. Dunque non è scontato che tale fenomeno sia da eliminare alla radice, talvolta è necessario solamente renderlo un po’ più vivibile, ovvero mitigarlo nel rispetto e per la salvaguardia di chi ci domanda un aiuto in proposito.

Non tutti i sintomi corporei di cui ci si può lamentare sono da considerarsi allo stesso modo. Ve ne sono di più simili ad un messaggio che vuole essere decifrato (vedi una colite spastica, che può presentarsi nel quadro di una fobia scolastica) e ve ne sono altri più refrattari all’essere interpretati (vedi la colite ulcerosa tra le malattie autoimmuni).

Nel primo caso, un sintomo-messaggio si rivolge ad un altro (“Mamma, forse vado tanto in bagno perché ho paura di non essere abbastanza bravo nell’interrogazione!” dice un bimbo).

Nel caso della colite ulcerosa rileviamo il fenomeno psicosomatico propriamente detto per il quale Lacan ha parlato di un sigillo, ossia di qualcosa che non sarebbe stato destinato ad essere letto da colui che lo vede. Il fenomeno psicosomatico cioè, diviene una “chiusura”, un “congelamento”.

Dunque la sfida davanti a cui la psicoanalisi di Freud e di Lacan non ha intenzione di indietreggiare è quella di sostenere il sofferente nel suo lavoro di parola, proprio perchè si possa arrivare a dire qualcosa di un fenomeno corporeo che sembra avvilupparsi su se stesso senza rivolgersi a chicchessia.

Il dolore ha diritto a trovare ascolto presso uno psicoanalista che accompagnerà chi lo domanda in un cammino che possa riannodare la giunzione tra il suo corpo e la sua parola, un nodo che possa essere oltre che saldo anche mobile, cioè non fissato in una sofferenza muta ma, parlante in un modo giustamente diverso per ognuno di noi.

Si tratta dunque del diritto a riprendere a dare valore alla propria parola, cosicché questa possa provocare degli effetti sul proprio organismo. È così, che con estrema delicatezza, si potrà riaprire quello che prima nel fenomeno psicosomatico era solo un sigillo, un blocco tanto illeggibile e incomprensibile quanto doloroso per chi lo porta su di sé.

Si potrà così scongelare il nodo da rifare tra la carne e la parola… perché, nonostante tutto, del proprio corpo che soffre si può parlare!

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Venerdì, 08 Marzo 2013 06:21
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Anoressia-bulimia-obesità

Il sintomo, quando prende di mira il corpo, può presentarsi sotto le forme di un rifiuto del cibo o, al contrario, della ricerca spasmodica dello stesso, che si consuma in abbuffate continue cui, a volte, segue il rigetto di quanto ingerito. Si tratta di una pulsione cieca che non sente ragioni, che spinge al di là della propria volontà e si fa beffa dei buoni propositi. Anoressia, bulimia e obesità sono nomi di un disagio.

Ai due poli estremi troviamo soggetti che si riducono all’osso facendo mostra della loro presenza con il loro scomparire, o che, al contrario, si impongono allo sguardo dell’altro tramite un troppo senza confini. Ma i più, sotto le spoglie di un’apparente normalità fisica, nascondono pratiche di quotidiana follia dove il ‘tutto’ e il ‘niente’ coincidono. La psicoanalisi insegna che dietro la maschera, a cui il sintomo anoressico-bulimico e l’obesità aderiscono come effetti del discorso sociale, e in particolare della società post-capitalistica, c’è un’altra maschera, che nasconde e al tempo stesso rappresenta il soggetto. Si tratta di un soggetto che soffre e che ha trovato questa modalità di risposta per accedere al suo desiderio. In genere sono le donne a farsi portatrici di questa sofferenza soggettiva, anche se il sintomo cambia al ritmo dei tempi moderni. E così bambini e giovani uomini emergono come categorie a rischio. Si sa comunque che la spinta al “godimento”, il nome paradossale che Lacan ha dato al soddisfacimento a cui la pulsione di morte spinge, non fa questioni di sesso o di età.

Quando c’è un problema con il cibo spesso non sono i diretti interessati ad avere il sentore di ciò che accade: piuttosto sono i genitori ad andare in angoscia, messi brutalmente di fronte alla loro impotenza. Il soggetto è bloccato. Mobilita attorno a sé gli esperti del corpo, coloro che sanno. Si riproduce così quello stesso meccanismo di riempimento e di rifiuto nell’insistenza della ripetizione.

Chiamare in causa il soggetto, implicarlo nel sintomo, interrogarlo sulla sua posizione, è questa l’offerta della psicoanalisi.

 

Céline Menghi

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Venerdì, 15 Febbraio 2013 05:18
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