C.ps.A.

@dolescente

Due piani d’incontro con la crisi adolescente: ostacolo e invenzione.

Il 25 novembre 2012 si è tenuto l’evento: “@adolescente Che né è della crisi dell’adolescente quando gli adulti vacillano?”. E’ stato organizzato dal Centro Lacaniano di Psicoanalisi Applicata che ha invitato alla Lavanderia ricircolo di cervelli a Rimini, in un’atmosfera conviviale: il dirigente scolastico della Scuola Media Statale “Panzini-Borgese”, Lorella Camporesi; il coordinatore territoriale della Coop. Ambra Raggio Verde, Cristina Fabbri; il responsabile dell’Osservatorio Salute Mentale e Dipendenza Patologiche dell’asl di Cesena, Paolo Ugolini insieme ad uno psicologo del Centro, Domenico Cimino. Io coordinavo l’evento, che è stato pensato come una conversazione tra persone con formazione e ruoli diversi intorno al tema adolescenza. Non si trattava di far lezione ne di dar mostra di un sapere bensì di partire ciascuno dalla propria esperienza di lavoro con soggetti adolescenti. La scommessa era di parlare di adolescenti senza luoghi comuni, preconcetti o frasi fatti ma dando spazio a quello che ciascuno poteva dirne grazie agli incontri fatti con i ragazzi, nei luoghi dove operavano. Questo il risultato della scommessa, almeno per chi scrive: nonostante stili e posizioni molto diversi tra gli invitati, sono emersi due piani di questi incontri: l’ostacolo e l’invenzione. Voglio spenderci alcune parole: si possono considerare come due piani in relazione tra loro se si prende l’ostacolo non come questione di volontà o incapacità di comunicare ma come la base stessa di una comunicazione che non può mai essere immune dal malinteso, l’incomprensione e lo scontro, l’invenzione sarebbe così un modo per far fronte all’ostacolo senza però pretendere di eliminarlo, anzi considerandolo proprio come una spinta necessaria per inventare. 

Ho trovato che questi due piani si possono ritrovare in quattro termini estratti dal discorso di ognuno degli invitati, termini usati come chiavi di lettura che non pretendono di esaurire e racchiudere l’intero discorso ma che possono costituire un perno per muoversi tra di essi: intelligenza istintiva, assenza dell’altro, sofferenza muta, extra-ordinario. A mio avviso nei primi due emerge soprattutto il piano ostacolo mentre negli ultimi due quello di invenzione. Spiego il perché. Il termine intelligenza istintiva è stato usato per indicare una tensione psicologica ma soprattutto fisica e corporea; qualcosa dunque che racchiude una contraddizione che lega intelligenza e istinto, una funzione alla base dell’apprendimento con un sapere che sostanzialmente si caratterizza per essere già dato e non da apprendere. Assenza dell’altro legata alla dimensione della comunicazione virtuale, molto in uso dall’adolescente tanto quanto gli è difficile invece il parlare direttamente con un altro. Sofferenza muta come malessere che non ha parole per essere detto. Extra-ordinario come ciò che oltrepassa i confini dell’usuale, del discorso comune. Trovo che la dimensione di ostacolo o di invenzione risiede più che in questa fugaci tentativi di spiegazione nel ruolo ricoperto da chi li ha usati: intelligenza istintiva è estratto dal discorso di chi si occupa di servizi educativi ed ha a che fare con l’intelligenza; assenza dell’altro nella comunicazione virtuale è estratto dal discorso di chi si occupa di formazione e quindi qualcosa che è fondato sulla possibilità di comunicare in modo efficace. Sofferenza muta è stato usato dallo psicologo del Centro che lo ha collegato ad un lavoro svolto con un ragazzo il cui esito è stato, tra l’altro, la creazione di testi di canzoni dove depositarla e tradurla. Extra-ordinario è stato usato da chi deve dirigere un istituzione scolastica e quindi deve fare i conti con il funzionamento  di un meccanismo basato necessariamente sull’ordine e sull’ordinario ma senza escludere il valore di ciò che è fuori dall’ordinario.

Per ultimo vorrei anche far presente come questa conversazione, che era stata pensata appositamente per un pubblico di ragazzi, ha invece avuto principalmente un pubblico di adulti con solo qualche ragazzo presente.

Tutto ciò per far valere come l’incontro con l’adolescente porta con se un ostacolo che resiste all’incontro stesso, qualcosa che non si lascia catturare nel discorso comune e richiede il rimando ad una dimensione extra-ordinaria dove si tratta di inventare un modo per tenere insieme contraddizioni da non escludere. 

 

Omar Battisti

Psicoterapeuta del Centro Lacaniano di Psicoanalisi Applicata di Rimini 

 

Ultima modifica il Mercoledì, 16 Gennaio 2013 12:24

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L’ansia secondo la psicoanalisi

di Beatrice Bosi

Il termine ansia indica uno stato affettivo che invade il corpo. 

Freud dice che si tratta di un affetto che segnala un pericolo. 

La psichiatria moderna ha unificato molti quadri clinici, facendoli confluire tutti in un'unica sindrome, il cosiddetto disturbo d'ansia generalizzata. 

Nel suo interessare direttamente il corpo, questo stato affettivo può arrivare a convertirsi in un dolore fisico e diventare una vera e propria malattia. Vasto è il campionario dei sintomi ansiosi: timore di attacchi di panico o di sensazioni dolorose, affanno o respiro corto, dolori agli arti o muscolari, sudorazioni, vertigini, cefalee, insonnia, attacchi d'asma, irrequietezza diffusa, apprensione costante, difficoltà a relazionarsi. 

Freud individua nell’ansia l’indice di un conflitto interno al soggetto stesso, sottolineando che se da un lato produce un dolore, dall’altro si tratta di considerare che, paradossalmente, il soggetto non riesce a farne a meno. 

Questo conflitto al tempo stesso è intimamente connesso con l’altro. L'adulto, accanto a cui il bambino cresce, lungi dall’essere neutrale, è portatore di desideri, a volte ingombranti, eccessivi e inattesi. In questo modo, come sostiene Lacan, il soggetto incontra qualcosa di traumatico, ovvero un desiderio che gli è estraneo e che, al tempo stesso, porta con sé una domanda: cosa vuole l'Altro da me? Questa domanda è fondamentale, perché si tratta della domanda alla quale il soggetto cerca di rispondere in un qualche modo nella vita, per collocarsi, per trovare il suo posto. 

È proprio qui che può insorgere l’ansia a partire dalla quale si possono sviluppare altri sintomi, come altrettanti tentativi di curare il trauma legato all’aver sperimentato quel “troppo” dell’Altro in quanto bramato, temuto, amato o odiato. 

Per questo secondo la psicoanalisi il sintomo ansioso non può essere cancellato tout-court ma necessita di essere interrogato in rapporto alla storia particolare del soggetto, affinché possa trovare una sua risoluzione. 

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Ultima modifica il Lunedì, 19 Novembre 2012 13:47

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Il sintomo nevrotico per la psiconalisi

di Elda Perelli

Il sintomo è la porta di accesso alla psicoanalisi. La psicoanalisi ha come scopo e limite quello di trattare il sintomo attraverso le parole. Il sintomo, in quanto reale, è ciò che morde nella carne e nello spirito.  Non c’è stato certo bisogno della psicoanalisi per sapere che le parole hanno un peso sul reale: la religione, la magia e, ultima arrivata, la scienza provano di saper incidere sul reale con parole, pratiche, riti e formule. La medicina, in particolare, sa da sempre che si può curare attraverso la parola. 

A differenza però del sintomo medico, quello analitico è un sintomo “parlante” perché, di per sé, non si indirizza al medico, ma al soggetto stesso in cui si manifesta: ed effettivamente, prima ancora di rivolgersi ad uno psicoanalista, di solito il soggetto si costruisce una pre-interpretazione di questo sintomo, tant’è che esso gli “fa segno”. Qualcosa non va e questo qualcosa concerne il soggetto. Il sintomo di cui soffre il nevrotico “fa segno” al soggetto di un senso oscuro, alla stregua di un messaggio dal significato sconosciuto. In tal modo il sintomo, come del resto le altre formazioni dell’inconscio, quali sogni, lapsus, atti mancati e motti di spirito, attesta dell’inconscio in quanto “strutturato come un linguaggio”: anche se, a rigore, il sintomo differisce dalle altre formazioni dell’inconscio quanto alla sua temporalità, poiché, ha la caratteristica di ripetersi. 

La qualità del sintomo, dell’essere “strutturato come un linguaggio”, è quella di esprimersi attraverso la stessa struttura significante del linguaggio: la metafora. La metafora è l’operazione di sostituzione di un significante o rappresentazione con un altro significante o rappresentazione. L’effetto di questa operazione di sostituzione è la produzione di un senso nuovo, diverso da quello abituale ed è per questo che il sintomo in psicoanalisi non ha lo stesso statuto del sintomo nella scienza. Questo è l’aspetto formale del sintomo sul quale la parola interviene, cura, disfacendone la costruzione. 

Vi è poi un aspetto più insidioso che sorge spesso proprio quando l’analisi è giunta a quello che chiameremmo il nocciolo del soggetto. Questo nucleo del sintomo si presenta come ostacolo sotto la forma della ripetizione. Si tratta di un resto che è fondamentalmente refrattario a lasciarsi simbolizzare. Lacan chiama “godimento” la causa di questa ripetizione pulsionale. Questo godimento, più affine alla sofferenza che al piacere, si presenta generalmente sotto forma di dispiacere, di cui però il soggetto non riesce a fare a meno. Solo al termine di una analisi, spinta fino alla sua fine logica, il soggetto potrà ritrovarsi attorno a questo resto di godimento senza più il dispiacere che di solito lo accompagna.

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Ultima modifica il Martedì, 13 Novembre 2012 21:53

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